accadde…oggi: nel 1873 nasce Maria Bakunin, di Alessandra Bernocco
Maria Bakunin, storia di una grande scienziata, libera e napoletana
Si racconta che quando i tedeschi misero a fuoco le biblioteche di via Mezzocannone, si sedette in prossimità delle fiamme incrociando le braccia. Così il comandante diede ordini di ritirarsi e i danni furono meno gravi. E’ anche legata alla difesa del suo istituto di chimica durante la seconda mondiale la fama di Maria Bakunin a Napoli.
E per le sue “alte qualità scientifiche e morali”, Benedetto Croce la nominò presidente dell’Accademia Pontaniana, di cui era membro onorario.
Scienziata e intellettuale libera e spregiudicata, Maria fu una delle figure più rappresentative nella Napoli del secolo scorso, sperimentatrice coraggiosa e docente presso la facoltà di scienze, dove divenne professore emerito.
Nata a Krasnojarsk, in Siberia, nel 1873, terzogenita dopo Carlo e Sofia, del rivoluzionario anarchico Michail e di Antossia Kwiatowoska, visse a Napoli dall’età di tre anni: qui la madre si era trasferita dopo la morte del padre, che aveva sempre pensato a Napoli come alla città dove meglio si sarebbero potuti realizzare i suoi ideali rivoluzionari.
A Napoli nacque suo nipote Renato Caccioppoli, il celebre matematico che ha ispirato, tra l’altro, il film di Mario Martone Morte di un matematico napoletano, e la sua sorellastra Tatiana, figlia di seconde nozze di Antossia.
Ma qui, soprattutto, Maria fu perno di una vita culturale e sociale che ha lasciato segni significativi nello sviluppo del pensiero scientifico e nella rifondazione di rinnovati paradigmi didattici.
Laureatasi giovanissima con Agostino Oglialoro-Todaro, di cui divenne moglie e collaboratrice, lega il suo operato alla definizione della mappa geologica d’Italia a cui pervenne studiando le rocce metamorfiche impregnate di ittiolo, che caratterizzano le montagne dei Picentini nell’area salernitana.
Ma è a lei che si deve anche l’introduzione di un ‘metodo originale’ per realizzare la ciclizzazione utilizzando l’anidride fosforica, in seguito usato per la preparazione dell’aspirina.
E nonostante tutto il suo nome è restato a lungo oscurato, manco a dirlo, dalla presenza di figure maschili, colleghi, intellettuali, o il nipote Renato Caccioppoli che lei stessa provvide a difendere, all’occorrenza. E’ del 1938 infatti la sua intercessione presso la polizia segreta che lo aveva arrestato per propaganda antifascista, così che alla zia toccò farlo passare per folle, internandolo.
Di questo e di altri gustosissimi episodi della vita di Maria- Marussia per gli amici, la Signora per tutti gli altri – sono prodighe invece le testimonianze di Alessandro Rodolfo Nicolaus, scienziato e professore scomparso qualche anno fa, convertito alla chimica dopo due anni di economia e commercio, da questa “maestra temuta e stimata”.
Da lui apprendiamo che fu “coraggiosa fino all’audacia, da taluni ritenuta violenta e prepotente”, e che fu sempre molto esigente con il personale. Persino bizzarra, se si prende per buono l’appunto rinvenuto sul margine di una pagina di una sua pubblicazione, ‘prendere a calci Vincenzino (il custode) perché non si è fatto le basette’.
Lei da parte sua viveva con una schiera di gatti in una grande casa vicino all’istituto di chimica, e dopo la seduta accademica che si svolgeva alle 11 era solita invitare i colleghi a una frugale colazione, fatta di pasta nera scondita, patate lesse e carne di cavallo, spesso forzatamente ‘condivisa’ con i gatti che balzavano sul tavolo.
“Ricordatevi Nicolaus -gli diceva, sempre rivolgendosi col voi – se uno degli ospiti ritorna, è uno di cui fidarsi”.
Così, a due militari alleati, probabilmente presentati da Croce, che dopo un pasto particolarmente misero le chiesero se avesse bisogno di qualcosa, lei rispose semplicemente ‘alcool e ovatta’. Servivano a riscaldare le provette e ad alimentare i bruciatori per far funzionare i gruppi elettrogeni del laboratorio. Era il 1943 e Napoli, affamata e distrutta, era priva di acqua, luce e gas.
Pasqualina Mongillo invece, nella sua biografia Marussia Bakunin, una donna nella storia della chimica, pubblicata nella collana scientifica dell’ateneo di Salerno per i tipi della Rubbettino nel 2008, racconta che fu anche un’appassionata didatta e che il ministro Francesco Nitti affidò a lei lo studio del sistema dell’istruzione professionale in Belgio e in Svizzera. E a questo proposito vale la pena mettere in fila i capisaldi della sua pedagogia: uguale sviluppo di teoria e prassi; arredo scolastico che dimostri buon gusto in modo che “il lavoro e lo studio possano diventare diletto dello spirito”, larghi compensi ai docenti, elargiti in funzione dei sacrifici richiesti, prelievo forzoso delle risorse economiche da destinare all’istruzione professionale. Era il 1914 e l’Italia non era ancora entrata nella prima guerra mondiale.