Gaspara Stampa e Petrarca, di Adele Libero
Un’interessante analisi letteraria è stata condotta stamattina, presso la sede Humaniter di Napoli, durante il corso di letteratura italiana comparata con quella straniera.
Nel’affrontare il tema del Petrarca e del petrarchismo, ci è stata presentata la figura di Gaspara Stampa (1523-1554) una poetessa che ha lasciato più di trecento poesie, alcune delle quali raccolte in “Rime”.
Di questa poetessa avevo appreso l’esistenza grazie al saggio di Daniela Domenici “Moderata Fonte e le altre”, una piccola antologia che racchiude le storie e le biografie delle principali letterate italiane dal 13mo al 18mo secolo.
La particolarità di questa opera postuma della Stampa è il proemio alle stesse “Rime”, che ricalca fedelmente, in struttura e tema, quello del Canzoniere del Petrarca, il noto “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”. E sorpende, quindi, che questa sconosciuta poetessa, ammalata d’amore per il Conte Collatino di Collalto abbia versificato in modo splendido, seguendo i canoni letterari dei seguaci del Petrarca. Del resto anche il Bembo ha scritto cose simili, tanto che il suo sonetto “Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura”, non è altro che un prezioso intarsio di versi petrarcheschi, con i quali ha cantato il suo amore per la Lucrezia Borgia.
In conclusione, vi propongo entrambi i sonetti, di Petrarca e della Stampa :
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,
…
del vario stile in ch’io piango et ragiono5
fra le vane speranze e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.
…
Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente10
di me medesmo meco mi vergogno;
…
et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.
Francesco Petrarca
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Voi ch’ascoltate in queste meste rime
Voi, ch’ascoltate in queste meste rime,
in questi mesti, in questi oscuri accenti
il suon degli amorosi miei lamenti
e de le pene mie tra l’altre prime,
…
ove fia chi valor apprezzi e stime,
gloria, non che perdon, de’ miei lamenti
spero trovar fra le ben nate genti,
poi che la lor cagione è sì sublime.
…
E spero ancor che debba dir qualcuna:
– Felicissima lei, da che sostenne
Per sì chiara cagion danno sì chiaro!
…
Deh, perché tant’amor, tanta fortuna
Per s’ nobil signor a me non venne,
ch’anch’io n’andrei con tanta donna a paro?
Gaspara Stampa