accadde…oggi: nel 1919 nasce Liliana Ragusa Gilli, intervista di M. Menghini e M.R.Trabalza

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Ci sono alcuni lavori scritti da te, insieme a Emma Castelnuovo, Lina Mancini Proia e Ugo

Pampallona. Puoi parlarci di queste collaborazioni?

Da quando ci siamo conosciuti abbiamo sempre lavorato insieme.

Nel 1968, grazie ad Emma Castelnuovo che si batteva instancabilmente perché si riconoscesse

l’importanza scientifica della didattica, ottenemmo un contratto dal Consiglio Nazionale delle

Ricerche per la didattica della Matematica.

Citerò, tra gli altri, un lavoro che ci è caro perché è l’unico che in tanti anni abbiamo firmato tutti e

quattro insieme. Nel 1971 elaborammo il progetto di otto serie di lucidi per lavagna luminosa

destinati alla scuola media, accompagnati da fascicoli illustrativi. Non ricordo da chi ci fu fatta la

proposta; so che furono realizzati dalla Minnesota e diffusi dalla Nuova Italia.

L’idea di questo particolare tipo di lavoro certo non fu nostra, ma nostro è l’argomento trattato

perché abbiamo spesso girato intorno al tema dell’insegnamento della geometria attraverso le

trasformazioni; ci interessava soprattutto lo studio delle proprietà dei principali poligoni e

dell’equivalenza delle figure piane.

Era allora di moda la ricerca sull’uso di mezzi audiovisivi per l’insegnamento, allo scopo di staccarsi

dagli schemi tradizionali meccanici e ripetitivi. Si sentiva l’esigenza di produrre modelli mobili,

indispensabili se si pensa che, per esempio, a causa delle figure fisse disegnate sempre nella stessa

posizione, molti ragazzi ritenevano che un triangolo non potesse essere allo stesso tempo rettangolo

e isoscele. Nella mia scuola avevamo introdotto per questo il termine rettoscele.

La sfida fu dunque per noi di realizzare il movimento sulla lavagna luminosa.

Ci dividemmo i compiti: Ugo e Lina si occupavano della parte tecnica, Emma ed io della stesura dei

fascicoli. Ma tutto questo lavorando insieme e concordando ogni passo. Realizzare il movimento

non è banale anche perché nella figura proiettata i particolari risultano ingigantiti.

Per le traslazioni e le rotazioni andò tutto bene. Bastava far scorrere (o ruotare) sul piano di base un

altro lucido con su la figurina colorata, naturalmente eseguendo il movimento “fuori campo”.

I guai cominciarono quando volemmo portare, con un ribaltamento, la metà di un triangolo isoscele

sull’altra. Un filo, anche sottilissimo, usato per fissare il lato del triangolo mobile all’asse di

simmetria, sullo schermo sembrava un palo, una strisciolina di scotch sembrava un’ombra nera. E

fui proprio io a trovare una soluzione di cui, a trent’anni di distanza, sono ancora giustamente

orgogliosa: bastava non fissare il lato ma lasciarlo aderire libero all’asse, fissando solo fuori campo

con due pezzetti di scotch il “piano” ribaltabile che conteneva il triangolo mobile. E ti garantisco

che ancora oggi questo triangolo ruota senza scosse nello spazio come lo facesse con le forze

proprie!

Mi sono un po’ dilungata, ma volevo farti capire quanto ci siamo divertiti.

Un altro lavoro interessante furono i fascicoli di istruzione programmata che Lina, Ugo ed io

realizzammo per il CNITE, Centro Nazionale Italiano Tecnologie Educative, nell’ambito del

progetto “Abilità matematiche di base”, diretto da Aldo Visalberghi e Maria Corda Costa. Il

materiale che preparammo doveva essere usato, dopo la somministrazione di un test d’ingresso,

nella prima classe delle scuole superiori (qualunque tipo di scuola) allo scopo di aiutare gli alunni,

di varia provenienza e preparazione, a superare eventuali lacune e difficoltà. Il mezzo, per noi

nuovissimo, ci piacque molto e ci sforzammo di rendere i nostri fascicoli quanto più possibile

efficaci. Non abbiamo mai saputo la loro sorte.

Come è nato questo affiatamento?

E’ una storia lunga. Emma e Lina avevano studiato insieme all’Università e insieme si erano laureate

nel 1936. Quando io conobbi Emma, Lina insegnava a Foligno. Emma l’incontrai nel 1943,

all’inizio dell’occupazione tedesca di Roma. Nel 1942 avevo stretto grande amicizia all’Istituto per

le Applicazioni del Calcolo -dove preparavo la mia tesi di laurea- con la moglie di Tullio Viola,

Elba. Arrivati i tedeschi, i Viola ospitarono, in attesa di una loro sistemazione, il Professor

Castelnuovo e sua moglie costretti a lasciare la loro casa.

Così un giorno sulla porta dei Viola mi imbattei in Emma, che andava a far visita ai suoi genitori.

Uscimmo insieme e subito parlammo di scuola. L’amicizia cominciò così e ancora dura, finché

viviamo.

Un giorno, poco tempo dopo, trovai Elba e Tullio Viola con i loro due bambini, pronti ad andarsene

perché nottetempo un aeroplano lanciava bombe nelle vicinanze e perché girava voce che fosse più

salutare per i professori universitari non farsi trovare. Così li ospitai nella grande casa dove vivevo

sola, perché, pur essendo di madre ebrea, avevamo giudicato che corressi meno pericolo degli altri

componenti della famiglia. Sembrava che altrimenti avrebbero requisito la casa, considerandola

abbandonata.

Emma veniva a trovarci e, nonostante la paura e il dolore di quel periodo terribile, dai nostri

appassionati discorsi sull’insegnamento nacque, ancor prima della liberazione, l’Istituto Romano di

Cultura Matematica. Non ebbe mai veste ufficiale e adesso sembra impossibile che abbia potuto

vivere per cinque anni1. A parte i corsi di recupero per gli studenti universitari reduci (corsi di

analisi, analitica, meccanica razionale, probabilità…) che ad un certo punto cessarono, ci si

incontrava ogni sabato (per cinque anni!) ad ascoltare conferenze tenute da illustri docenti, primi fra

1 Si veda: A. Perna, L’azione dell’Istituto Romano di Cultura Matematica a favore degli insegnanti secondari e dei

neolaureati, Archimede, II, 1950, 36-40.

tutti Enriques e Castelnuovo, e a discutere d’insegnamento. Tullio Viola guidò quest’attività con il

suo entusiasmo e la sua abilità. Le riunioni si tennero al Tasso, la scuola di Emma.

Ma torniamo al nostro gruppo di didattica. Nel 1946 Lina tornò da Foligno e proprio in quell’anno

io fui nominata (a seguito del concorso vinto tre anni prima e sospeso per la guerra) al liceo

scientifico di Veroli. Non conoscevo i programmi che andavo ad insegnare, nemmeno come alunna

(vengo dal liceo classico). Emma mi spedì da Lina “l’unica persona che poteva aiutarmi”. E così,

parlando di scuola, ebbe inizio una grande amicizia, purtroppo recentemente interrotta. Devo

continuare?

Nel 1947 al Convitto Partigiani e Reduci “Rinascita”, dove insegnavo matematica, conobbi Lucio

Lombardo Radice -allora vicepreside dello stesso-, l’altro grande amico della scuola e di tutti noi,

che ci ha sempre seguito nel lavoro e che con Lina avrebbe poi scritto “Il Metodo Matematico”.

E poi, poi…io ho sempre avuto facilità di rapporti con gli altri, anche perché ho bisogno del calore

dell’amicizia per lavorare. Così sono io che ho introdotto nel nostro gruppo Salvo d’Agostino (che

prese le mie classi quando lasciai Veroli), Maria Pezzella (mia collega di scuola), Ugo Pampallona

(che venne a dare una mano a Telescuola per correggere la valanga di compiti che arrivavano dai

posti d’ascolto televisivi, sparsi in tutta Italia), e infine Michele Pellerey. Michele lo avevo

incontrato da Emma alle riunioni di novembre dei “piloti” (professori delle classi pilota) che

affluivano da varie città. Però fui la prima a lavorare con lui.

Un giorno, nell’allora libreria Hoepli di Largo Chigi, quasi sbattemmo le teste per guardare i libri di

matematica disposti a livello terra. Gli proposi di lavorare con me ad un incarico del Ministero, mi

sembra un esame di libri di testo, che gli altri del gruppo non volevano accettare. E questo fu l’inizio

di tanto altro lavoro comune e di un’altra straordinaria amicizia. Ti basta?

Parlo troppo, ma fammi dire ancora qualche parola su di “noi”. Lavorare insieme non è stato

soltanto produttivo, e, come ti ho già detto… divertente. E’ stato anche una gioia di sempre, un

conforto nei momenti difficili.

Una volta lavoravamo non ricordo a che, Lina, Ugo ed io. Era, per Lina, un periodo terribilmente

buio. A un certo punto disse “vado a fare il caffè” e andò in cucina. Noi continuammo a scrivere.

All’improvviso ci scambiammo uno sguardo commosso: Lina stava canticchiando.

E questa grande ricchezza abbiamo cercato di trasmetterla ai nostri allievi, non so con quanto

successo. In realtà quello che vorremmo non morisse con noi, più della matematica che abbiamo

insegnato (e che cambia col cambiare della società e delle situazioni) è lo spirito di solidarietà, di

amicizia profonda e disinteressata, la capacità di dare e ricevere aiuto, quello spirito, insomma, che

in 50 anni di lavoro comune noi pensiamo di non aver mai tradito.

Nel 1995, a 10 anni dalla morte di Tullio Viola, si è tenuta all’Università di Torino una sua

celebrazione. Avrei dovuto intervenire, ma una frattura del femore mi ha inchiodato qui. Mi

riusciva difficile anche preparare lo scritto che mi era stato chiesto di inviare e che qualcuno

avrebbe letto per me. Ormai da molti anni l’età e la distanza mi tenevano lontana da tutti: ci

limitavamo solo a qualche sporadica telefonata. Ma una mattina Emma mi chiama “Sto venendo a

Ostia”. Viene, mi porta materiale, mi aiuta a chiarire qualche ricordo, a sistemare nomi e date. Poi si

porta via il testo, lo batte e lo invia. Io non avevo chiesto niente…

Cos’era il progetto RICME?

Tamas Varga, esimio professore ungherese, da giovane aveva seguito un corso all’Alta Matematica,

un corso tenuto da Enriques, di cui si considerava, pertanto, un po’ allievo.

Un giorno Ugo Pampallona si interessò alla riforma ungherese dell’insegnamento della matematica

nella scuola elementare (il Progetto OPI), di cui Varga era uno dei principali artefici. Il materiale

ungherese ci affascinò: prevedeva un’estensione dei programmi ad argomenti nuovissimi,

assolutamente sconosciuti nella scuola primaria. Certo il passo era ardito e non tutti l’avrebbero

condiviso. Ricordo Bruno Rizzi, per esempio, esprimere parere nettamente contrario

all’introduzione di elementi di probabilità (era il suo campo) nelle classi elementari.

Ma noi eravamo molto stimolati a lavorare sul materiale ungherese e Ugo propose di stendere un

progetto per il CNR, “Se lo approvano, avremo la fortuna di poterlo sperimentare”.

Il progetto fu presentato, ma per molto tempo non se ne seppe nulla. Poi, nel 1974, in un’estate

torrida, arrivò la comunicazione che era stato approvato. I pochi restati a Roma si mobilitarono

d’urgenza e in autunno…si partì.

Giovanni Lariccia, inviato dal CNR per una breve comparsa, fece in tempo a dare un nome al

progetto: RICME, cioè Ristrutturazione Curricolo Matematico Elementare. Nel frattempo Ugo

dovette lasciare perché si trasferì all’estero.

Alla realizzazione del progetto, diretto da Michele Pellerey, parteciparono Maria Luisa Bigiaretti,

Lina Mancini, Maria Pezzella, Liliana Ragusa, Ida Sacchetti a cui si aggiunsero Lucilla Cannizzaro,

Margherita Fasano e, per breve tempo, Mario Barra. La ricerca era affidata alla Mathesis, il cui

direttore nazionale era, allora, de Finetti.

Perché quest’interesse per la scuola elementare da parte di docenti della scuola superiore?

La cosa non può meravigliare. Chi voglia occuparsi seriamente dei problemi dell’apprendimento

prima o poi deve rifarsi alle radici. Ugo era stato il primo a lavorare con un gruppo di maestri. Io,

all’inizio restia, mi ero lasciata a poco a poco coinvolgere.

Quanto a Lina, era da sempre profondamente interessata alla genesi dei concetti nel bambino. Da

quando, osservando i progressi di suo figlio Cristiano a partire dai primissimi anni, si era resa conto

che “c’è un tempo per imparare”, capì che la conoscenza non si può imporre ma bisogna aiutare a

conquistarla. Il suo “Metodo” era basato proprio su una scelta intelligente del cammino da far

percorrere agli allievi perché arrivassero, a tempo debito, attraverso esperienza e situazioni

opportune, a sentire l’esigenza di un sistema ipotetico deduttivo.

Ma torniamo al RICME. Maria Luisa Bigiaretti e Ida Sacchetti, con la loro esperienza diretta,

guidarono il lavoro di adattamento alla nostra scuola del progetto ungherese (che rimase solo un

punto di partenza). Furono redatti cinque fascicoli di schede, uno per ogni anno, dalla I alla V e li

corredammo con guide per gli insegnanti del primo ciclo.2 Il tutto fu pubblicato dall’editore

Armando Armando.

Poi cominciò un lavoro di 5 anni dal 1975 al 1980. Seguivamo in quattro scuole, variamente

dislocate, il lavoro di quattro classi di prima elementare. Sì, appunto, abbiamo accompagnato quei

bambini dal primo giorno della prima alle soglie della scuola media. Per cinque anni ho passato con

loro il mio giorno libero dal liceo, per cinque anni abbiamo tenuto riunioni settimanali con in nostri

maestri e, periodicamente, riunioni plenarie presiedute da Pellerey. Ti basta?

Come mai in quegli anni tanti insegnanti di matematica si impegnarono in modo così innovativo e

competente? E’ merito della formazione universitaria?

Chiariamo subito che tra la formazione universitaria di Emma e Lina e quella mia c’è un abisso.

Loro ebbero come insegnanti Enriques, Castelnuovo, Scorza, Levi – Civita…. Io arrivai quando le

leggi razziali avevano allontanato molti illustri docenti e mi trovai in mezzo a tutte le complicazioni

e i disagi del periodo bellico. In realtà l’impulso ad agire ci venne da Emma Castelnuovo, dalla sua

opera tenace che arrivò, in memoria del professor Guido Castelnuovo, all’istituzione di borse di

2 Progetto RICME, Schede di lavoro per le cinque classi elementari, Armando Armando, 1979-1983; e Progetto

RICME, Guida alla formazione matematica del primo ciclo elementare, tre volumi su: la dimensione geometrica;

relazioni e funzioni, insiemi e logica, combinatoria, probabilità e statistica; Il concetto di numero naturale, introduzione

alle operazioni aritmetiche; Armando Armando 1980.

studio per laureandi (che prepararono la loro tesi in didattica nelle nostre classi) e all’iniziativa dei

viaggi all’estero.

Gli incontri della CIEAEM (la Commissione internazionale per l’insegnamento e il miglioramento

dell’insegnamento della matematica) furono illuminanti e le esposizioni di matematica degli studenti

dell’Ecole Decroly ci indicarono la strada per un radicale rinnovamento.

Era il dopoguerra, c’era un fervore di attività e molta speranza.

Del resto non dimentichiamoci che la rivoluzione bourbakista era in atto negli anni ’60 e che la

cosiddetta “matematica moderna”, la matematica delle strutture, stava facendo il suo ingresso nelle

scuole di tutti i paesi.

Difficile non essere coinvolti: studiammo, discutemmo, sperimentammo e così spuntarono le idee

per escogitare qualcosa di nuovo.