Acquasanta, di Valentina Gebbia, edizioni Leima, recensione di Daniela Domenici
Uno dei libri più affascinanti che abbia letto negli ultimi tempi, e non sono pochi, che ho concluso in un soffio e che mi ha lasciato un enorme sorriso nel cuore grazie alla straordinaria bravura dell’autrice, Valentina Gebbia, che ci regala un giallo palermitano le cui cifre distintive sono talmente tante che proverò a elencarvele.
La prima è l’ironia che pervade e colora questa storia che ha per protagonisti i componenti di un’improbabile, divertentissima famiglia di investigatori sui generis: la madre Assunta, il figlio Terio (da Letterio) e la figlia Fana (da Epifania), la Mangiaracina Investigazioni, insomma, dal loro cognome, che provano, e riescono, a scoprire, con i loro particolarissimi metodi, chi abbia ucciso e perché il povero amico Ottorino, un disabile sulla sedia a rotelle, scagionando dall’accusa la sorella Girolama-Gemma-Momma. Bravissima a caratterizzare anche i/le tanti/e co-protagonisti/e di questa storia corale nella quale ognuno/a ha un piccolo, grande ruolo che concorre ad arricchire la bellezza del racconto.
L’altra cifra distintiva di questo libro è lo stile narrativo, e qui parla la correttrice di bozze ed editor, semplicemente perfetto, ricco, variegato, che denota un bagaglio culturale a 360°, intriso di sicilianità grazie ai dialoghi della formidabile signora Assunta, madre innamorata dei propri figli, che ancora vivono con lei, e cuoca sopraffina che prende tutti per la gola, soprattutto il nipote Nofrio, carabiniere, e che ci fa sorridere con le sue storpiature delle parole inglesi che sente dire.
Un altro elemento che arricchisce questa storia è l’amore dell’autrice per il cinema e per chi lo vive dal di dentro, dal protagonista all’ultima comparsa e a tutto lo staff tecnico; nelle descrizioni delle riprese del film Gebbia è superlativa, si capisce perfettamente quanto lei ami e conosca perfettamente questo ambiente essendo anche regista e attrice.
Concludo con la vera protagonista di “Acquasanta”, Palermo (che, tra parentesi, è la mia città natale) che l’autrice descrive con una conoscenza dettagliata di luoghi spesso sconosciuti anche a chi ci vive e un profondo, viscerale amore che commuove.