Species. Bestiario del terzo millennio, raccolta di racconti di Gabriella Vergari, tavole di Antonino Viola, Boemi editore, recensione di Daniela Domenici

Un bellissimo volume-gioiello che contiene quindici tavole di animali disegnate dall’artista Antonino Viola e “illustrate”, gioco di parole, dalle splendide storie immaginate, in perfetto contrappunto grazie a una magica sinestesia, dalla scrittrice e docente catanese Gabriella Vergari.

Il fil rouge, il denominatore comune è, in primis, la straordinaria ironia dell’autrice che colora la maggior parte delle storie, leggera e perfetta, che regala più di un sorriso a chi legge ma altrettanto splendidamente descritta è la malinconia di cui sono soffusi gli altri racconti. In secundis desidero sottolineare, ancora una volta, l’abilità di Vergari nell’uso delle parole, che siano inglesi, latine o francesi, con cui ama giocare e grazie alle quali riesce a caratterizzare ognuno degli animali del suo bestiario; e, ancora, la sua bravura nel condurci a scoprire, dopo poche righe, chi sia il o la protagonista di turno. Ognuno dei quindici capitoli ha un titolo scelto ad hoc, emblematico della storia che verrà narrata dall’animale in prima persona, ed è quasi sempre costituito da una sola parola: un sostantivo astratto, singolare o plurale.

I più ironici sono quelli che hanno per protagonista il camaleonte che ha l’autostima alle stelle, la mantide che vorrebbe innamorarsi, lo struzzo che spiega perché mette la testa sotto la sabbia, la bufaga che esalta l’utilità del suo lavoro, la balena che ci racconta di Pinocchio e di Giona, la capra che ce l’ha con la cugina pecora e il tarlo che sfrutta ogni varco possibile; molto malinconici quello del pesce nell’acquario, la sua saudade appunto, quello dell’aquila di Zeus che non vuole più il suo ruolo di potere, della scimmietta che desidera diventare umana e dell’elefante che si sogna libellula e ha per amica una cicala. Il più struggente di tutti è quello dedicato al leone che ha qualche acciacco e teme l’arrivo della morte. C’è anche un unicorno che vorrebbe cambiare il suo look, una coppia di parrocchetti il cui rapporto d’amore cambia dopo la nascita dei figli e l’araba fenice, l’ultimo animale di questo bestiario, le cui parole vorrei porre a conclusione “Vorrei spiegare a coloro che affannosamente mi interrogano che cosa sono e perché sono. Ma non posso, non lo so. Perciò è inutile che mi dilunghi: io mi rispecchio in ogni vita che nasce e in ogni vita che declina. L’alba e il tramonto non sono per me che aspetti contrapposti ma intrinsecamente uguali. E per cogliere o non cogliere una simile realtà, una vita può bastare come mille. Questo solo ho infatti capito: non si comprende la vita che dalla vita e la vita è, nient’altro che è… e così sia!”.