la voce del dolore, di Loredana De Vita
La pazienza è una risorsa dell’anima, una risorsa che crea e non distrugge, che accompagna nel riso, ma soprattutto nel pianto.
Ci sono dolori grandi, tanto grandi da non riuscire a contenerli. Sono ovunque, dentro e fuori di noi, sopra e sotto e persino attraverso la fragilità del nostro essere.
Eppure, quando un dolore non si “completa” vuol dire che c’è qualcosa di irrisolto, di non detto, qualosa che impedisce, dal pozzo, di riuscire a ritrovare e guardare le stelle.
Non che quel dolore sia finto, assolutamente no, ma può diventare “strategico”, una sorta di trincea entro cui macerare l’incompiutezza e impedirle di compiersi.
Il dolore, allora, diventa lo scomodo antro dal quale non si vuole uscire perché farlo significherebbe dire la verità, e la verità non è che faccia “solo” male, ma racconta anche di una realtà diversa da quella che abbiamo costruito e narrato.
Non è falso il dolore che si prova, ma il rinnegarne l’origine più profonda è il segno del volere, inconsciamente o meno, restare “protetti” persino dal dolore pur di non prendere atto che ricominciare dopo un dolore grande significa anche riconoscere e raccontare la verità, tutta la verità.
Nel dolore mostriamo la nostra emotività completa, inclusa la rabbia che dovremmo rivolgere verso noi stessi ma che, di solito, scarichiamo sugli altri che cercano di farci aprire gli occhi affinché si ri-diventi (o si diventi per la prima volta) padroni del proprio respiro.
L’altro, invece, diventa il bersaglio contro cui scagliare la propria incompletezza. Alziamo la voce e crediamo in questo modo di rimettere ogni cosa al suo posto e ogni puntino sulla sua “i”, in realtà non facciamo altro che allontanare il problema e rifiutare di guardarci dentro. Più l’altro ci invita ad avere cura della nostra vita, più lo accusiamo di non capire il nostro dolore, i nostri impegni, rifiutando di accettare che più urliamo e fingiamo di essere “duri” più stiamo sgretolando il senso della nostra coscienza e nascondendoci dietro le cose (che pure sono tante) pur di non guardare in faccia la realtà: chi più urla e più si trincera nella virulenza del parlato, meno ha da dire e minore è il suo coraggio di agire.
Il dolore, allora, non è che una scusa; è una sollecitazione alla comprensione dell’altro verso noi stessi, quel noi stessi che, però, rifiutiamo di ascoltare così come nella nostra aggressività feriamo l’altro che ci vuole veramente bene. Non ci ama, infatti, chi ci asseconda, ci ama chi ci sprona a costruire la propria libertà.
Non urla il dolore, non aggredisce il dolore, il dolore cammina in silenzio e nel silenzio vive. Ha una voce il dolore, ed è la voce del silenzio.