l’infanzia di Gesù, di J. M. Coetzee, recensione di Loredana De Vita
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“L’infanzia di Gesù” (Einaudi, 2013) di J.M. Coetzee, è il primo di una trilogia di romanzi (seguito da “I giorni di scuola di Gesù” e “La morte di Gesù”) che vedono impegnata la “grande” penna di Coetzee nel racconto del percorso di formazione di un bambino che potrebbe essere un Gesù nei tempi moderni, ma che, soprattutto, è un bambino che cerca di comprendere il mondo e la sua complessità per trovare il suo posto giusto in esso.
Non esiste, in realtà, un posto giusto, ogni situazione può essere “doppia”, avere, cioè, una duplice interpretazione. Proprio come David, il bambino del romanzo, che vive situazioni contrastanti continue tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, tra la realtà di orfano che gli appartiene e l’aspirazione di non esserlo avendo persone che lo amano che si prendono cura di lui, Inés che gli fa da madre e Sìmon che mai nega di non essere suo padre definendosi, piuttosto “zio o padrino”.
David, insieme a Sìmon, approdano nel nuovo mondo, Novilla, il cui accesso è consentito solo a costo di dimenticare completamente la propria vita precedente tanto che i nomi delle persone non sono i loro nomi reali, ma quelli attribuiti loro dalla “Asistencia”. Sin dal viaggio sulla nave che li porta a Novilla, Sìmon si prende cura di questo bambino perduto con l’esplicita intenzione di aiutarlo a ritrovare sua madre che, successivamente, individuerà in Inés, sebbene non sia la madre vera.
Durante tutto il percorso che li porterà da Novilla a Estrella (dove scapperanno per salvare David da una scuola che non è una scuola degna poiché non riconosce e non accompagna le intelligenze dei bambini), Sìmon e Inés non lasceranno mai solo David. Molto intenso è il dialogo che si instaura tra Sìmon e David, infatti, un dialogo fatto di domande, dubbi che non coinvolgono solo il bambino, ma lo stesso adulto.
Si tratta di interrogativi sull’esistenza, sul valore e il significato della vita e della formazione. È un dialogo che spesso si trasforma in filosofico e che pone il lettore nei panni di entrambi i personaggi sia nel ruolo di chi chiede sia in quello che cerca di trovare le risposte.
La lettura del libro è molto rapida e sembra di non potersene staccare, l’abilità di Coetzee è quella di porre interrogativi esistenziali incarnati in un quotidiano semplice. Sono evidenti i riferimenti alla storia di Gesù, ma prevalgono le mille domande che ci si può porre su tutto ciò che non sappiamo di Gesù: che bambino era, come si relazionava con gli altri, come si confrontava con un padre che non era suo padre, riusciva a riconoscersi in sua madre?
David è un bambino complesso, eccezionale, ma anche “insopportabile” per la perentorietà delle sue parole e l’insistenza non capricciosa ma determinata sul fatto di avere già tutte le risposte; una volta, litigando con dei bambini, a Sìmon che è accorso per calmarlo dice “Io sono la verità”. Forse che percepisse la sua origine non chiara come qualcosa di sovrannaturale? Non possiamo dirlo, eppure, la speciale specialità di questo bambino è proprio il coraggio della verità, una verità non incerta o ingenua, ma una verità assertiva e consapevole: “Sìmon non è mio padre e Inés non è mia madre” è la prima frase che dice a chiunque entri in relazione con loro, anche a rischio di provocare equivoci legali. È come se questa consapevolezza ponesse sempre in risalto la distanza che esiste e deve restare tra sé e le persone di cui si prende cura. Anche di questo atteggiamento c’è testimonianza nei Vangeli.
“L’infanzia di Gesù” (Einaudi, 2013) di J.M. Coetzee è un libro che provoca con delicatezza il lettore inducendolo a riflettere sull’essenza del proprio ruolo nel mondo e sulla speranza di costruire un mondo nuovo solo nella consapevolezza di dover abbandonare tutto ciò che è ovvio.
“L’infanzia di Gesù” (Einaudi, 2013) di J.M. Coetzee un libro da leggere con cura e discernimento, una riflessione da far proseguire nella lettura dei due volumi successivi.