accadde…oggi: nel 1909 nasce Theresa Wallach, di Sara Mostaccio

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Theresa Wallach è stata la prima donna ad attraversare l’intero continente africano da Nord a Sud e lo ha fatto su due ruote insieme all’amica Florence Blenkiron. Avventurosa viaggiatrice, motociclista, ingegnere, meccanico e scrittrice: è stato tutto questo Theresa. Ma quando nasce a Dadford, nel Buckinghamshire, nulla può farlo suppore. È il 1909, è fuori discussione che una ragazza di buona famiglia possa aspirare a qualcosa di diverso da un marito. Eppure…

Il padre di Theresa, collaboratore della Royal Geographic Society, ha tracciato le mappe dell’Africa Occidentale all’epoca della ricerca di giacimenti d’oro nella regione. Appassionato viaggiatore, ha messo insieme una collezione di reperti provenienti da ogni angolo del mondo e Theresa ne è affascinata. Il rigore vittoriano le serbava un futuro ordinario ma lei non ci stava.

“In un momento della mia vita in cui i principi per una donna venivano imposti da chi non era tenuto a rispettarli preferii affrontare la sabbia del Sahara piuttosto che le dune della società dell’epoca.”

Per imparare ad andare in bicicletta ruba di nascosto quella del fratello, a lei non è concessa. Nel 1928, dopo infinite discussioni, il padre le permette di iscriversi alla facoltà di ingegneria del Northampton Polytechnic Institute. È l’unica ragazza del corso. È lì che impara ad andare in moto, glielo insegna il compagno di studi Stephen Turner che ne possiede una.

Inforcare la moto con la gonna però non è affatto semplice così se ne sbarazza per indossare i pantaloni, suscitando nuovi rimproveri in famiglia. In breve tempo si procura una moto tutta sua, una BSA Blue Star di seconda mano. Ogni sera la lascia in un capanno distante da casa e rientra a piedi finché non si stufa di mentire e la parcheggia in giardino scatenando una furibonda lite con i genitori. Così Theresa se ne va di casa. Non accetta di rinunciare a ciò che ha scelto per sé.

Dopo la laurea nel 1932 entra nella Women’s Engineering Society e lavora in officina per la British Thompson Houston. Si iscrive anche al club motocislitico femminile fondato da Jessie Hole nel 1926 e partecipa alle prime gare sul circuito di Brooklands.

Probabilmente è l’anno dopo che incontra Blenk, un’altra pioniera del motociclismo femminile che a soli 16 anni aveva corso la sua prima gara. Minuta ma fatta d’acciaio, eccellente meccanico e pilota acrobatico, Florence è anche la prima donna a vincere una gara mista e a superare il limite di 100 miglia orarie in moto.

Era fatale che diventassero amiche. Tanto più che Florence aveva in mente di raggiungere il Sud Africa dove vivevano alcuni parenti e Theresa voleva compiere l’impresa in moto. Ma le tracce di Blenk si perdono presto. Già durante il viaggio di andata il rapporto si deteriora e all’arrivo si separano. Theresa torna a casa in nave e Florence torna indietro da sola sulla nuova moto spedita dallo sponsor per sostituire quella del viaggio di andata, ormai distrutta. Poi sparisce dai radar.

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Il libro The Rugged Road (edito in italia da Ultra) Theresa lo scrive da sola a metà degli anni 80 dopo aver provato a ricontattare Florence per scoprire poco dopo che è già morta. Che fine ha fatto? Arruolatasi nei territori del Nord Africa durante la guerra, prima nel trasporto dei feriti e poi come meccanico, finisce per occuparsi di addestramento. Con il marito conosciuto in India, dove si trasferisce nel 1945, torna in Inghilterra per gestire una fattoria. Nell’anonimato.

Trovare gli sponsor non è facile, nessuno vuole puntare su due ventenni in mezzo al deserto del Sahara. Se l’impresa fosse andata male la pubblicità sarebbe stata terribile. Ma con tanta pazienza e una inesauribile determinazione Theresa e Florence scovano chi è disposto a investire sulla loro avventura. Il primo è P&M che fornisce la moto, una Panther 600 cc.

Il veicolo viene modificato ed equipaggiato per resistere alle condizioni più ardue e al lunghissimo viaggio. Aggiungono un sidecar per alternarsi alla guida e un carrello per contenere bagagli, taniche d’acqua e pezzi di ricambio oltre a fungere da tenda con una copertura mobile. Quasi sempre toccherà dormire sotto le stelle.

Ambedue sono esperte meccaniche, i problemi della moto possono risolverli (quasi) sempre da sole. E sono tantissimi, dalle forature delle gomme ai continui insabbiamenti fino a danni più gravi che le costringono ad attendere per settimane un ricambio dall’Inghilterra. A volte gli attrezzi sono così arroventati dal sole che non riescono a maneggiarli. “Ci avevano detto che sarebbe stata dura: era un eufemismo!”

Affrontano un viaggio che nessuno considerava possibile e che ancora oggi, con la tecnologia a disposizione, è molto pericoloso. Loro non possono contare su alcun tipo di supporto, sono sole e senza nemmeno una bussola. Ma niente le può fermare benché in molti tentino di dissuaderle.

Le autorità negano ripetutamente il permesso di attraversare i loro territori e le viaggiatrici devono affrontare lunghe discussioni e accettare costosi contratti di soccorso: se entro un numero di giorni prestabilito non fossero giunte alla destinazione seguente, l’amministrazione coloniale avrebbe inviato i soccorsi al costo di 4 franchi al chilometro. Un salasso che non potevano permettersi. E sempre a patto che fossero sulla giusta rotta perché le ricerche non avrebbero deviato dal tragitto previsto se si fossero perse.

Partono da Londra l’11 Dicembre 1934 in sella a una moto soprannominata The Venture. Sulla fiancata sono dipinti “nomi di luoghi che avremmo attraversato.” Quasi un talismano. A salutarle accorre una folla di persone tra cui Lady Astor che definisce se stessa “irriducibile femminista” e sostiene l’impresa delle ragazze.

Dopo aver attraversato la Manica e raggiunto il sud della Francia si imbarcano da Marsiglia in direzione Algeri. Dalla città africana ripartono il 26 dicembre 1934. Per prima cosa dovranno attraversare l’Africa coloniale francese e inoltrarsi nel Sahara nel tentativo di raggiungere un’oasi dietro l’altra dove rifornirsi d’acqua e comunicare l’arrivo alle autorità pronte a far partire i costosissimi soccorsi a carico delle viaggiatrici.

“Il giorno dopo Natale, intorno alle dieci del mattino, lungo la strada principale, rue Michelet, si riunì una grande folla per salutarci. Da lì in poi non avremmo più badato all’orologio e ai minuti. Ci eravamo preparate bene ed eravamo pronte ad affrontare la spedizione africana.”

Scoprono presto che “il tempo nel Sahara era molto importante, e non era misurato dall’orologio, ma dall’acqua.” Incontrano i tuareg e la Legione Straniera Francese. Attraversano la giungla equatoriale e deviano dal loro tragitto per conoscere i pigmei. Affrontano serpenti, leoni, gorilla, il rischio della mosca tse-tse e terribili tempeste. Guidano alle pendici del Kilimangiaro, attraverso il Tanganica, visitano le cascate Vittoria in Rhodesia. Alcune delle persone che incontrano non hanno neanche mai visto una moto.

Ovunque devono avvisare le autorità locali e, con infinite e noiose discussioni, ottenere i permessi. Solo di tanto in tanto trovano un alloggio confortevole che consente il lusso di un bagno, come ospiti di missionari, coloni o ambasciatori. Più spesso si arrangiano in tenda. Non hanno fretta e si concedono qualche pausa, che sia imposta da problemi meccanici o per visitare la zona.

“Un giorno in più non avrebbe fatto la differenza. Arrivare a Città del Capo in tempo sarebbe significato non aver veramente “viaggiato”, poiché per noi il viaggio era il tempo che avevamo trascorso nei vari luoghi piuttosto che un percorso scandito dalla tabella di marcia.”

Dopo 8 mesi di viaggio e più di 12.000 km arrivano a Città del Capo il 29 Luglio 1935. Hanno attraversato Francia, Algeria, Niger, Nigeria, Ciad, Ubangi Shari (Repubblica Centrafricana), Congo, Zaire, Uganda, Kenya, Tanganica (Tanzania), Rhodesia del Nord (Zambia) e Rhodesia del Sud (Zimbabwe), Sudafrica. I giornali le celebrano come eroine.

“Il felice arrivo a Città del Capo fu la fine di un’impresa meravigliosa. Avevamo la soddisfazione di sapere di aver compiuto il primo attraversamento Nord-Sud del continente africano.”

Al ritorno in Europa Theresa si arruola nell’esercito e presta servizio come portaordini motociclista, istruttore e meccanico. Alla smobilitazione si ritrova povera in canna, senza lavoro né casa. Riprende a gareggiare, si impiega come collaudatrice e sbarca il lunario come può ma l’Inghilterra post-bellica le sta stretta e decide di spostarsi in America.

Percorre in solitaria l’America del Nord sconfinando in Canada e in Messico a bordo di una Norton. Di tanto in tanto si ferma per lavorare quanto basta a riprendere il viaggio, come meccanico in officina o raccogliendo pesche in campagna. Ha con sé un bagaglio ridotto all’osso: un sacco a pelo, due bisacce di attrezzi e ricambi, un cambio di abiti.

Percorre oltre 30.000 km prima di stabilirsi a Chicago nel 1948 ma è solo una sosta e presto riparte per un altro viaggio attraverso l’immenso territorio americano, mai paga d’avventura. Nel 1950 torna per breve tempo in Inghilterra ma la lascia nel 1952 per non farvi più ritorno.

Poco dopo apre una concessionaria di moto inglesi a Chicago. Ai suoi clienti insegna anche a guidare tanto che nel 1970 scrive persino il manuale Easy Motorcycle Riding, un successo tale che viene distribuito nelle scuole americane. Ma di viaggiare non smette: nel 1967 compie un lungo viaggio in Canada. Ancora una volta in sella alla sua moto.

Nel 1973 chiude il negozio e si trasferisce a Phoenix per dedicarsi completamente alla sua scuola guida Easy Motorcycle Riding Schools. A guidare continua fino all’età di 88 anni, quando problemi di vista la costringono a rinunciare. Muore nel 1999 nel giorno del suo compleanno, dopo una vita in sella.

Se non hai intenzione di diventare uguale agli altri, devi avere il coraggio di andare avanti da solo. Non puoi andare avanti e portare il mondo con te. Se il vostro ambiente vi trattiene, dovete lasciarvelo alle spalle.”

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