caligo, di Fiorenzo Toso
Ma perché si chiama così? E da dove arriva il termine? A spiegarlo oggi è Fiorenzo Toso, arenzanese, professore ordinario di linguistica all’Università di Sassari e massimo esperto vivente di lingua ligure: “È un termine tecnico marinaresco. La parola è di origine latina e colta, infatti riprende il nominativo, e risale alla tradizione nautica medievale“. Dal latino caligo, caliginis deriva infatti l’italiano caligine, non molto usato ai nostri tempi per la verità.
Ma si dice il caligo o la caligo? “Dovrebbe essere di genere femminile in base alla sua etimologia (cālīgo), e così suona in italiano, ma comprensibilmente nella nostra lingua è passata al maschile, o caligo“, che con le regole dell’italiano si scriverebbe u caligu. Insomma, sono corretti sia il maschile sia il femminile.
Ma la cosa interessante, come segnala Toso, è che dalla stessa parola latina in genovese ci sono state altre due derivazioni. “Sempre dal nominativo, in forma più genuina si è formato un antico garigo che, quando poi nel Settecento è caduta, come succede sempre in genovese, la -r- tra vocali, è divenuto, per successiva e altrettanto regolare ritrazione dell’accento, il gaigo, o gheigo secondo la pronuncia locale, ossia il nebbione che si attacca alla cima dei monti liguri rimodellandone la forma, nelle giornate serene, come un’enorme massa di panna montata”.
Ma non finisce qui. “Dall’accusativo caliginem invece è derivato il genovese antico ca(r)izze, che si sente ancora in riviera, da cui il moderno caize, che è la fuliggine, ossia la sporcizia delle vecchie stufe e del camini”.
Ma quindi la nebbia in genovese non ha un nome, visto che in città non se ne vede mai? In realtà la parola esiste: “È regolarmente negia, dal latino nebula, che è la stessa voce da cui è derivato appunto l’italiano nebbia. Ma di nebbia ne abbiamo talmente poca, che oggi per negia intendiamo soprattutto, secondo un senso figurato documentato già nel Trecento, le cialde, sottili appunto come un sottile velo di vapore“, conclude Toso