Re Lear al teatro delle Arti a Lastra a Signa, recensione di Daniela Domenici

re lear al teatro delle arti

Ancora un “gioiello” nel cartellone della stagione del Teatro delle Arti di Lastra a Signa che il suo direttore artistico, Gianfranco Pedullà, cura con una passione rara e una professionalità ineccepibile.

Ieri sera “Re Lear o il passaggio delle generazioni” che Pedullà, regista e autore della riduzione del testo, ha tratto da una delle più celebri e affascinanti tragedie di Shakespeare e che siamo tornati ad applaudire a distanza di nove mesi dal debutto, sempre su questo palcoscenico, trovandolo ancora più affascinante e commovente della prima volta.

Il regista ci ha regalato un Re Lear straordinario grazie alle originali e fiabesche scene di Claudio Pini, alle ottime luci di Marco Falai, i perfetti costumi di Alexandra Jane Meigh, le musiche di Jonathan Faralli e a un cast di attori formidabili a cui va il nostro caloroso applauso e un “bravo” collettivo; alcuni di loro meritano una lode in più iniziando dal formidabile Marco Natalucci (che abbiamo, in quest’ultimo anno, applaudito nei ruoli più diversi che ha interpretato sempre con la stessa professionalità) che dà vita a un Matto straordinario e anche ad Albany, marito di Goneril (interpreta due ruoli come anche Claudia Pinzauti), a Francesco Rotelli, un commovente, struggente Edgar, a Giusi Merli nel difficile ruolo di Re Lear, a Lorella Serni, una Goneril davvero crudele così come l’altra figlia ingrata Regana interpretata da Gaia Nanni, a Simone Faloppa, l’opportunista Edmund e Gianfranco Quero che è il fedele Glouster. Completano il cast Roberto Caccavo che è Kent, Claudia Pinzauti Cordelia (e Oswald) ed Enrica Pecchioli Cornovaglia.

Ottima la scelta del regista di affidare due ruoli maschili, il protagonista Lear e Cornovaglia, marito di Regana, a due donne in perfetta antitesi con il fatto che nell’Elizabethan Age di Shakespeare tutti i ruoli femminili erano interpretati da uomini. E perfetta anche quella di utilizzare tutti gli spazi del teatro, soprattutto i corridoi laterali e quello centrale, per arricchire la storia e coinvolgere maggiormente il pubblico.

Dalle note di regia: “Mettere in scena Re Lear è come salire su una montagna e gettare un lungo e pietoso sguardo sul mondo, sulle conquiste e sulle cadute degli uomini…la rivalità, la competizione sfrenata riporta gli uomini allo stato bestiale, alla violenza, alla guerra sterminatrice…è allora che si rompono i legami di solidarietà tra giovani e vecchi, tra padri e fi: gli, tra fratelli e sorelle; e la vita umana si chiude nell’individualismo cieco, nella solitudine aggressiva, nella sofferenza e nell’insofferenza”: queste parole del regista Pedullà, tratte dalle note di sala, ci dicono in modo più che esauriente cosa sia “Re Lear” e quanto possa essere ancora attuale ai nostri giorni, un’opera teatrale senza tempo perché “…nella nostra epoca…la comunicazione tra padri e figli appare sbilanciata a favore di adulti sempre giovanili e giovani che, per molti motivi, faticano a imporre la loro funzione sociale e non riescono a  diventare adulti”:grazie, Gianfranco, per essere salito su questa “montagna”.