accadde…oggi: nel 2003 muore Maria Floriani Squarciapino, di Sergio Rinaldi Tufi

http://www.ostia-antica.org/past/squarciapino.htm

È toccato a me, come più anziano fra i collaboratori della Professoressa Maria Floriani Squarciapino nella sua attività universitaria, il doloroso compito, ma anche l’onore, di commemorarla presso la Pontificia Accademia Romana di Archeologia, di cui è stata a lungo illustre socio. Spero di essere riuscito a rappresentare e interpretare anche il pensiero degli altri collaboratori, dei colleghi, di tutti i presenti.

Accanto al momento del dolore e del lutto, momento in cui vogliamo tutti essere vicini alla famiglia rinnovando le nostre condoglianze, è giunto anche il momento della riflessione, il momento in cui ci si propone di ricostruire il significato di un’esistenza. Una vita di archeologa, di donna di scienza, che però non per questo rinunciava al ruolo di madre, alla famiglia, agli affetti, ai rapporti interpersonali. La sua vita professionale non soffocava quella privata, e viceversa. Non so se l’espressione che sto per usare è corretta e rispettosa quanto vorrei: Maria Floriani Squarciapino è stata una studiosa notevolissima che non dava a vederlo, che faceva finta di non esserlo. È stata soprintendente di Ostia, è stata professore ordinario a “La Sapienza”, ha scritto (come fra poco vedremo) una quantità di monografie e articoli di alto livello, ha avuto cariche e incarichi in Accademie (come la Pontificia stessa), imprese editoriali (Fasti Archaeologici, varie opere della Treccani), istituzioni di notevole tradizione (Associazione internazionale di archeologia classica, Istituto di studi romani), solo per ricordare le situazioni in cui maggiore era il suo impegno: mai che abbia assunto atteggiamenti (come diremmo oggi) da “donna in carriera” super-occupata, mai che abbia evitato incontri con colleghi e studenti, mai che le sia venuto meno l’interesse per le cose di ogni giorno o che abbia trascurato o ignorato le vicende personali. Come quando si informava con premura di figli e famiglie, o quando raccontava a sua volta di sé: anche, in qualche occasione, del durissimo momento della fine della guerra e delle dolorose situazioni che da questa erano state determinate, ma anche del figlio Nando (o Fernando) che da piccolo giocava nei prati di Ostia Antica.

Ecco, Ostia – la sua gestione della Soprintendenza di Ostia – potrebbe essere presa ad illustrazione del suo modo di concepire l’esistenza: un complesso monumentale di incredibile importanza, in cui investire energie sia per quanto riguarda la tutela sia per quanto riguarda lo studio, ma anche in cui coltivare rapporti e alimentare collaborazioni. Legate a Ostia e alle ricerche ostiensi sono figure che nella vita della professoressa Squarciapino hanno avuto grande rilevanza: il suo maestro Pietro Romanelli, gli amici Italo Gismondi, Giovanni Becatti, Raissa Calza, Pasquale Testini, Guido Barbieri, Herbert Bloch, ma anche collaboratori delle generazioni successive che non posso nominare tutti. La lungimiranza sua e di Becatti fece sì che si avviassero proprio a Ostia anche esperienze innovative, come lo scavo di Andrea Carandini nelle Terme del Nuotatore. La città antica era (e poi per fortuna è rimasta fino ad oggi) un laboratorio a cui ci si accostava con approcci e con metodologie differenti; la collaborazione fra Soprintendenza, Università italiane, istituzioni e studiosi stranieri, spesso auspicata ma non sempre organicamente attuata, qui veniva (e per fortuna viene ancora) ampiamente praticata. I buoni rapporti instaurati con il personale di ogni ordine e grado creavano una certa “aria di famiglia”, un clima particolare.

Finora abbiamo tracciato il profilo di un funzionario ideale. Ma non finisce qui, e non solo perché poi quel funzionario è passato all’Università. Ostia, per la professoressa Squarciapino, è stato non solo il sito da tutelare e dove far lavorare tutti, ma anche, ovviamente, un tema privilegiato nella sua personale attività di ricerca. Partiamo da qui per tracciare, filone per filone, un quadro di insieme di questa attività, che è molto complessa: come ha detto Fausto Zevi il 2 ottobre, intervenendo durante la cerimonia funebre nella chiesa di San Lorenzo Fuori le Mura, sarebbe estremamente opportuno che l’Università “La Sapienza” organizzasse un incontro di studio per fare il punto sui temi che la professoressa stessa ha toccato, e che negli anni sono cresciuti di importanza. Si è verificata spesso, come tutti sappiamo e come io ho di nuovo verificato nelle letture e riletture di questi giorni, una situazione peculiare: la Squarciapino ha individuato (o contribuito ad individuare) temi, ha avviato (o contribuito ad avviare) dibattiti, individuandone le linee fondamentali nei suoi scritti estremamente chiari ed esaurienti e al tempo stesso (in linea con il suo stile abituale) formalmente molto semplici e colloquiali; non si è mai mostrata “gelosa” dei suoi argomenti, non ha mai posto copyright, e quindi le vie aperte da lei sono state percorse anche da altri, talvolta da molti altri, finché da quelle premesse si è giunti a esiti di straordinaria importanza. Se non fosse fuor di luogo in questi tempi l’uso di termini militareschi, si potrebbe dire che la Squarciapino ha ripetutamente innescato (o contribuito a innescare) temi che poi sono “esplosi”.

Ma quali sono questi temi? I filoni principali, oltre a Ostia, sono soprattutto due, che credo abbiamo ben presenti: Leptis Magna e l’Africa romana; Afrodisia e la “Scuola” di Afrodisia. Ve ne sono poi altri che si possono forse considerare più occasionali, ma che anch’essi hanno avuto sviluppi incredibilmente fecondi: ne parleremo più avanti, in sede di conclusione.

A Ostia, il lavoro di maggiore impegno (intrapreso con i già ricordati amici Gismondi, Barbieri, Calza, Bloch) è la pubblicazione (1958) delle necropoli, che si coollocano soprattutto fra II secolo a.C. e I d.C. Oltre alla descrizione e al commento delle singole tombe, troviamo in questo volume anche un attento esame del sovrapporsi e del dilatarsi delle aree sepolcrali attraverso il tempo. Il volume (1962) sui culti orientali nella città portuale (Magna Mater, Mitra, divinità egizie fra cui spiccano Iside e Serapide) è il terzo della lunghissima serie “Etudes préliminaires des réligions orientales dans l’Empire Romaine” ideata dal Vermaseren e giunta ora al numero 149. Lo studio della Sinagoga, che è la più antica d’Europa (IV secolo, ma con fasi anche precedenti), viene avviato con la pubblicazione della relazione introduttiva nei Rendiconti della Pontificia Accademia del 1961-62, e conduce un seguito a una serie di osservazioni sulle possibili classificazioni di questo tipo di monumento, sintetizzate nella voce (appunto) Sinagoga della Enciclopedia dell’Arte Antica.

Per quanto riguarda l’Africa romana, il volume più significativo è (1974) quello sulle sculture del Foro Severiano di Leptis Magna: i dadi con Gigantomachia nel Tempio della Gens Septimia (già esaminati nei Rendiconti della Pontificia Accademia del 1954-56), i clipei con Medusa nella piazza forense vera e propria, i pilastri della Basilica (anch’essi già esaminati in precedenza, per la precisione in Archeologia Classica del 1958, con particolare attenzione al ciclo delle Fatiche di Ercole) vengono visti come componenti di un complesso unitario, o per meglio dire concepito da un’unica mente, eseguito da scultori della Scuola di Afrodisia.

E qui siamo al terzo “grande tema”. L’importanza della Scuola (caratterizzata dalla grande perizia tecnica di scultori che con orgoglio firmavano le loro opere dichiarandosi “Afrodisiei”) veniva evidenziata dalla Squarciapino già in un volume del 1943; gli scavi successivamente condotti nella stessa città di Afrodisia da K.T. Erim e da R.R.R. Smith, e ancora in corso, hanno fornito, e stanno ancora fornendo, una clamorosa conferma della assoluta rilevanza di quella produzione artistica, con la scoperta di una incredibile quantità di sculture di alto livello, cronologicamente distribuite attraverso cinque secoli: tanto che in Archeologia Classica del 1983 la Professoressa (che in genere non amava tornare su argomenti già trattati) cedeva alla tentazione di presentare un articolo su “la Scuola di Afrodisia 40 anni dopo”, e si soffermava con particolare attenzione sui rilievi del Sebasteion o santuario degli Augusti. Ai due lati di un corridoio che conduceva al santuario stesso (che però non conosciamo ancora), tre ordini di colonnati recavano tre serie di raffigurazioni riconducibili a tre filoni: scene mitiche, glorificazione dalla famiglia imperiale giulio-claudia, personificazioni delle popolazioni sottomesse.

In qualche occasione, la Squarciapino ha percorso sentieri meno usuali. La vecchia amicizia con Paolo Matthiae e con gli altri scavatori di Ebla ha origini precise: nel 1964 la Professoressa partecipava alle primissime esplorazioni della Missione in Siria, contribuendo alla scelta del sito di Tell Mardikh (e qui dire che la scelta è stata “profetica” è dire poco) e rilevando già allora che l’occupazione del sito stesso era stata intermittente, e che le fasi principali sembravano risalire alla fine del III millennio a.C. e all’inizio del II (la relazione è pubblicata in Rendiconti della Pontificia Accademia del 1965-66). L’impresa ha poi avuto la fortuna che meritava, e che tutti conosciamo.

Infine, Merida, l’antica Augusta Emerita. In un convegno tenutosi nel 1974 (gli atti furono pubblicati nel 1976) sulla capitale della provincia romana di Lusitania, la Squarciapino esaminava alcuni rilievi frammentari casualmente rinvenuti (reimpiegati come copertura di un condotto fognario) in località Pan Caliente a nord della città, lungo il fiume Guadiana. Rilievi con Cariatidi, clipei con Giove Ammone: era la ripresa, in ambiente provinciale, di temi già proposti nel Foro di Augusto a Roma; i pezzi dovevano necessariamente provenire da un monumento rilevante in area centrale, come i clipei (analoghi ma non identici) rinvenuti in un’altra capitale iberica, Tarragona.

In anni più recenti, l’ipotesi si rivelava giusta: venivano scoperti a Merida i resti del “Foro di Marmo”, con la presenza, inoltre, di un altro elemento ripreso dal Foro di Augusto, la serie di “Summi Viri” (personaggi storici di spicco) vestiti di toga.

Ecco: il lavoro – per così dire – occasionale sui pezzi rinvenuti a Pan Caliente, le osservazioni e le ipotesi avanzate con la consueta semplicità, ma anche qui in qualche modo “profetiche”, costituiscono un ulteriore esempio di quella peculiare capacità di individuare realtà suscettibili di grandi sviluppi. Qui gli sviluppi sono addirittura in due direzioni: da un lato l’intensificarsi quasi sfrenato, in questi ultimi decenni, delle ricerche nella Penisola Iberica, magnificamente illustrato nel 1997 dalla mostra Hispania Romana; dall’altro lo studio del monumento urbano a cui quelle ricerche direttamente o indirettamente riconducono, o per meglio dire i “lavori in corso” a Roma nell’intero sistema dei Fori Imperiali, che continuano ad attraversare una lunga e straordinaria stagione.