La casa al civico 6, di Nela Rywikova, traduzione di Raffaella Belletti, edizioni Le Assassine, recensione di Daniela Domenici

Il romanzo è ambientato a Ostrava, nella Repubblica Ceca, la città del carbone, del ferro e dell’acciaio, delle miniere e delle industrie pesanti, al giorno d’oggi quasi tutte riconvertite o chiuse, un luogo costantemente ricoperto dalla polvere di carbone che ne faceva “una città grigia” come grigi erano i pensieri di chi vi abitava. È qui che viveva Martin Prchal, scomparso ormai da un anno senza lasciare traccia. Le ricerche della polizia si sono rivelate infruttuose, la storia sembrava dimenticata se non fosse che un giovane poliziotto scrupoloso, Adam Vejnar, nel leggere i fascicoli del caso è subito incuriosito dal “non luogo” in cui viveva il giovane Martin: una casa ai confini del mondo in via U Trati al civico 6. Là vi abitano persone incapaci di progettare qualcosa di diverso e di migliore, ferme a quando la fabbrica e il regime comunista dominavano le loro vite…”: ho voluto iniziare con questa sinossi non mia perché dà, in sintesi, un’idea di cosa sia questo romanzo di Nela Rywikova, perfettamente tradotto da Raffaella Belletti, che è sì, anche un giallo ma è soprattutto un corposo romanzo dal taglio psicologico-sociale in cui l’autrice, nata a Ostrava, restauratrice prima di dedicarsi alla scrittura di romanzi gialli, novella Dickens di “Hard Times”, caratterizza psicologicamente ognuno/a degli/lle abitanti di questa casa ai confini del mondo, tra i/le quali Adam Vejnar è convinto si nasconda l’autore/rice della sparizione di Martin, e grazie a questo analizza ed evidenzia i pregi e i difetti dell’attuale società ceca e di come fosse quando il regime comunista era al potere; è stato un vero arricchimento storico-sociale per la sottoscritta, complimenti all’autrice!