prisoners of an interior and exterior apartheid, di Loredana De Vita
https://writingistestifying.com/2022/02/17/prisoners-of-an-interior-and-exterior-cultural-apartheid/
Non essere ascoltati fa sentire più soli. Non ascoltare divide, separa, spezza.
L’ascolto è la base dell’incontro, del confronto, della conoscenza, dell’accoglienza, della coscienza.
La mancanza di ascolto non è solo il vuoto generato dall’assenza di incontro, confronto, conoscenza, accoglienza, coscienza, ma è l’impossibilità di comprenderne il valore e di acquisirne il significato sia in contesto sociale che individuale.
È una sorta di “gabbia dell’anima” nella quale da soli entriamo, da soli serriamo la grata di ferro, da soli cantiamo per noi stessi la nostra solitudine, volutamente ignari che sia la stessa solitudine che ciascuno attorno a noi respira.
Quella gabbia rappresenta, ci illudiamo, il confine entro cui possiamo tutelarci dalle differenze e proteggerci dalla generale indifferenza. In realtà, quella gabbia rappresenta la nostra sconfitta, il nostro “apartheid culturale” interiore ed esteriore, la nostra separazione da ogni altro poiché temiamo l’impegno della differenza e la responsabilità dell’incontro.
Difatti, io credo, questo timore, mai realmente superato, non è il timore dell’altro, ma il timore di noi stessi condannati a un modo di vivere e di essere in cui il vero nemico siamo noi stessi.
È un apartheid culturale che tende a dividere gli uni dagli altri ma che, in realtà, scinde ogni essere umano da se stesso ottenebrandone il pensiero con i luoghi comuni e rendendo effimera ogni azione con l’invenzione della distanza.
La distanza più grande che io vedo, la separazione più netta, è quella tra noi e noi stessi che, chiusi in quella gabbia edulcorata quanto possibile per farla sembrare più bella, abbiamo perso il gusto del riconoscimento e della conoscenza, l’aroma dell’incontro e della consapevolezza di che cosa significhi “incontrare”, abbiamo dimenticato il contatto con la verità che ogni essere umano contiene in sé.
È un apartheid culturale in cui ciascuno crede di essere superiore, ma nessuno può provarlo, poiché nessuna cultura e nessuna persona potrà mai essere superiore ma solo differente, poiché ciascuna cultura e ciascuna persona è se stessa e nessun criterio economico è un buon metro di giudizio per separare la verità dalla menzogna.
Inoltre, l’apartheid culturale dal quale abbiamo scelto di essere rappresentati, non è rivolto solo verso l’esterno, ma si esplicita anche all’interno di ciascuna comunità, grande o piccola che sia, manifestandosi non come dissenso frutto del discernimento, ma come cecità alimentata dal proprio egoismo.
Aver smesso di ascoltare sigilla le nostre vite in quelle gabbie di ferro in cui abbiamo rinchiuso il nostro scontento simulando di essere contenti della distanza e della solitudine.
La mancanza di ascolto, offerto e ricevuto, dà spazio e tempo a quell’apartheid culturale interiore ed esteriore affinché si smetta di ascoltare persino la propria stessa voce ridotta, ormai, a un’eco lontana e distorta dall’egoismo e dall’indivisualismo grazie ai quali abbiamo svuotato di senso il nostro vivere ed esistere in un tempo che sembra non appartenerci più, ma di cui siamo schiavi passivi, lenti e addormentati.