like a bird in a cage, di Loredana De Vita
https://writingistestifying.com/2022/04/06/like-a-bird-in-a-cage/
In questa gabbia senza né porte né finestre respiro tra le sbarre il mio primo respiro.
Mi chiedo che cosa accadrebbe in questo istante se queste sbarre arrugginite dovessero all’improvviso sgretolarsi. Sarei capace di stendere le mie ali e riprendere il mio volo?
Sogno, ma è un incubo.
Spariscono le sbarre, ma non riesco a muovermi, sono bloccata da tanti corpi che continuano a precipitarmi addosso, mi sovrastano, mi sommergono, mi tolgono il respiro. Quasi spero che la mia gabbia possa riprendere la sua forma, come per custodirmi, come per offrirmi riparo dall’orrore del mondo, come per mostrarmi la stessa visione ma a distanza, senza che io stessa sia tumulata con quei corpi senza vita. Non è così, non accade. Non c’è gabbia che possa sottrarmi all’orrore che mi circonda e restituirmi le mie ali e il mio respiro mentre intorno la vita muore. Io sono parte di quella vita… e di quella morte.
Quei corpi, sono tutti corpi morti, anche se alcuni non lo sanno mentre si scherniscono e proteggono dietro i loro sorrisi beffardi per umiliare quegli altri corpi innocenti “fatti morti” dalle loro armi.
Quegli uomini che ridono della morte altrui hanno il sorriso ironico sulle labbra, convinti di aver vinto sulla vita, ma i loro occhi sono ciechi, cavi, scavati, cementati nella violenza del loro assurdo obbedire senza coscienza. Hanno preso le distanze dalla vita, solo così possono seminare quella morte iniqua e ridere di quei corpi vittime delle loro torture. Non lo sanno, ma sono morti anche loro, poiché la vita non segue quell’orrore e non plasma nuova vita per chi ha sposato l’odio e il disamore della coscienza.
Sono morti, senza speranza e senza compianto e giacciono insieme alle loro vittime che non sorridono, certo, ma hanno gli occhi aperti per continuare a guardarli da ogni dove e sempre per ricordare loro in eterno la responsabilità del loro vuoto di coscienza.
Non è un incubo, è la realtà.
Comprendo che la mia gabbia di dolore è ben più ampia della gabbietta angusta che avevo immaginato attorno al mio corpo. Sono tra quei corpi innocenti e anch’io guardo la risata sprezzante su quei volti che non sanno di essere morti, ma che lo sono più dei morti reali, poiché chi agisce senza coscienza è morto ben prima di rendersi colpevole.
Questo manca, la coscienza.
Un esercito fatto di uomini può ribellarsi contro un despota accanito a costruire il male. Altrimenti, che significa avere coscienza di sé?
Nessun uomo è un burattino i cui fili sono guidati dal potere, ogni uomo può scegliere di spezzare quei fili poiché farlo non significa tradire, ma rispondere con onore e dignità all’umanità tutta che ha bisogno di segni, che ha bisogno di essere illuminata dalla coscienza.
Non è facile, è pericoloso, certo, ma lo è altrettanto scendere in guerra e uccidere persone chiunque che non ci hanno fatto niente, lo è altrettanto negare per sempre l’esistenza di una umanità pacifica e buona. È un delirio. Un delirio di onnipotenza che si rivolta contro ogni essere umano e la sua storia.
Il giuramento è obbedire? Non si può mancare di rispettare gli ordini? E se quegli ordini sono contro coscienza, che cosa conta di più? Pensate, se quello stesso capo vi ordinasse di suicidarvi o di uccodere le vostre famiglie, distruggere le vostre case, lo fareste? Credo di no. Allora, il problema è sempre lo stesso, la distanza tra noi e gli altri; la coscienza, una buona coscienza, non prevede questo, ma solo amore per tutta l’umanità.
Siate uomini liberi, conquistate le vostre ali per volare, vi prego.
Intanto, mi ritrovo nella mia piccola gabbia, ho il cuore troppo pesante per librarmi in volo. Piego le ali stringendole forte al mio corpo minuto e in silenzio piango per tutti i morti, anche per quelli che non lo sanno.