accadde…oggi: nel 1929 nasce Christa Wolf, di Isabella Bossi Fedrigotti
dicembre 2011 – Gli uomini e le donne sono la loro storia. E si sa che l’imprinting che si riceve nell’infanzia e nell’adolescenza è quello che poi segna tutta la vita. La scrittrice Christa Wolf, morta ieri a Berlino, era nata nel ’29 nell’estrema Germania orientale – che oggi è Polonia – dove da ragazza sperimentò un doppio tragico evento: quello di ritrovarsi suddita del regime totalitario hitleriano e di dover, dunque, servirlo, inquadrata nella formazione giovanile nazista riservato alle femmine, il Jungmaedchenbund, e quello della disperata fuga in massa dai territori orientali del Terzo Reich di fonte all’avanzata dell’esercito sovietico.
Si può dire che l’autrice, scomparsa ieri a ottantadue anni, sia in un certo senso rimasta marcata da questi due eventi, laddove il primo si dimostrò il più potente, forse perché figlio di una ideologia, peraltro violentissima. Divenne, infatti, marxista e lo rimase a lungo, strenua sostenitrice della Ddr e del suo regime, sia pure liberticida, dissanguato dai famosi piani quinquennali nonché da una difficoltosa ma sistematica fuga dei cervelli verso l’Ovest. Proprio per questo più di una volta ella si appellò ai suoi concittadini pregandoli di non abbandonare la patria: famosa rimase l’ultima, quando l’8 novembre 1989, solennemente si rivolse loro per cercare di fermare il fuggi fuggi generale verso l’Ungheria, dove il regime aveva aperto un varco. Parole gettate al vento in tutti i sensi, perché già l’indomani, sia pure a sorpresa, caddero tutte le barriere con l’Occidente e la Germania Est letteralmente si svuotò. Pensare – lo avrà di certo pensato anche lei, stabilitasi da una vita a Berlino – che la nuova capitale tedesca, in particolare la sua zona orientale, attira oggi, come fosse una Mecca, frotte di giovani da tutto il mondo.
Critica e autocritica vennero anche per Christa, ma in modo quasi ufficiale, soltanto dopo. E, forse anche a causa della sua preponderante personalità politica, molti non glielo perdonarono, tanto da non essere quasi più in grado di apprezzare la sua letteratura, che in alcuni libri tocca livelli altissimi. Quando poi, verso la metà degli anni Novanta, all’apertura degli archivi della Ddr, nella lista dei personaggi che avevano spiato per il regime comparve anche il suo nome, il rancore «politico» nei suoi confronti aumentò, facendo quasi finire in secondo piano la sua opera. E non importa se dagli stessi archivi emersero commenti del tipo «l’informatrice manifesta crescente riserbo», tanto che la fonte fu presto abbandonata in quanto infruttuosa. Né importa che – Le vite degli altri insegna – un grandissimo numero di cittadini, soprattutto quelli in vista, fu in qualche modo ricattato e costretto a spiare pur di avere un po’ di requie.
La vastissima opera letteraria di Christa Wolf – fatta di romanzi, saggi, racconti e pagine di diario – è di frequente segnata dall’autobiografia. Così per esempio, uno dei suoi primi scritti Il cielo diviso (dal quale fu tratto un film negli anni Sessanta), che narra della sua esperienza di lavoro in una fabbrica di vagoni ferroviari; oppure Trama d’infanzia, che ripercorre il suo passato nelle formazioni giovanili hitleriane; o, ancora, Che cosa resta, che ha per protagonista una scrittrice famosa spiata dalla Stasi.
Ma sono marcatamente autobiografiche anche alcune delle sue ultime opere, come Un giorno all’anno . 1960-2000 , che raccoglie le sue famose pagine di diario scritte per moltissimi anni ogni 27 settembre, nelle quali riflette su politica, storia, letteratura nonché sulla società tedesca prima e dopo l’unificazione; e come Con uno sguardo diverso, otto racconti che in qualche caso si soffermano, in modo discretissimo e, perciò, commovente, su certi tempi della sua vita, per esempio sulla stagione non facile del suo matrimonio.
Forse, però, i toni più efficaci e più alti e, insieme, più umani e appassionati, li ha raggiunti nelle sue due rivisitazioni dei miti classici greci, per le quali resterà indimenticabile. Prima in Cassandra e, tredici anni dopo, in Medea. Voci, Christa Wolf approfondisce e ripensa con sguardo non tanto femminista quanto femminile due tragiche figure di donne, traendole dal mausoleo letterario nel quale dormivano e restituendo loro corpo e voce, vita e sangue, cuore e sentimenti come fossero personaggi contemporanei, ben veri e vegeti. E facendone plausibili protagoniste, con le loro atroci vicende, di cronache – purtroppo nere – di oggi.