Intervista a Bert D’Arragon di Daniela Domenici

Ho avuto il piacere di incontrare per la prima volta Bert D’Arragon, il protagonista della mia intervista, qualche anno fa a Siracusa durante il suo tour di presentazione del suo primo libro “La libellula”.

Mi ha detto che stava scrivendo la sua seconda opera, “Ichnusa”, mi sono proposta come correttrice di bozze ed editor e lui ha accettato. Da lì è nata una bella amicizia che mi ha permesso di scoprire i tanti talenti di Bert che oggi voglio condividere con voi grazie a quest’intervista:

–             Tu sei tedesco di lontana origine spagnola e vivi in Toscana ormai da anni: quale cammino ti ha portato in Italia e, in particolare, in Toscana?

–             In realtà mi ci ha portato il treno… e poi in Germania pioveva sempre!  Ma scherzi a parte: ero venuto a Firenze con l’Università per un viaggio di studio con un gruppo di studenti di Storia dell’Arte. All’inizio non mi piaceva nemmeno, ma quando siamo ripartiti era come se rimanessi incollato alla poltroncina del treno, come se la mia giacca fosse rimasta incastrata nella porta di qualche palazzo fiorentino e alla prima occasione sono ritornato a Firenze. Ho cominciato a conoscere delle persone, alcune delle quali frequento ancora oggi – e stiamo parlando di oltre 25 anni fa! Ho anche fatto un lungo giro in bicicletta nelle campagne toscane (era d’Agosto e alla fine, da tipico tedesco, ero rosso come un gambero!) e fu in quel periodo che ho cominciato ad immaginarmi “La Libellula”, il mio primo romanzo edito dall’Istituto Storico della Resistenza ISRPt e che è ambientato, appunto, soprattutto in Toscana.

  –             Quanto c’è di tedesco in te e quanto di spagnolo?

–             Temo poco. Il mio avo, Francisco Xaviero d’Arragon, è arrivato in Germania nel 1777, dopo che Regina Maria del Portogallo aveva estradato tutti gli stranieri dal paese. Lui, essendo figlio cadetto di una famiglia dalle discendenze reali ma in forte decadenza, in Spagna non aveva nessun futuro. Allora chiese al ministro della guerra del Portogallo, anche lui rimandato a casa perché era il Prìncipe Elettore dello Schaumburg-Lippe, di poterlo seguire in Germania. In realtà Xaviero lì non si trovò mai bene ma si sposò, ebbe molti figli, prima legittimi e poi anche illegittimi, e alla fine scappò. Morì nei primi anni del ‘800 in Brasile dove si era rifugiato per non pagare gli alimenti ai figliuoli tedeschi…

–             So che sei laureato in storia dell’antichità con una tesi sulla preistoria: da cosa nasce questa tua passione?

–             Ero rimasto affascinato dalla questione del matriarcato. Ma non potevo credere che il matriarcato fosse uno specie di patriarcato capovolto dove tutto faceva schifo uguale, solo che allora le donne facevano quello che ora fanno gli uomini. Quindi pensavo che forse gente come Bachofen, magari influenzato dal maschilismo e dalla misoginia degli antichi greci, avessero dipinto quel quadro come spauracchio. Poi lessi i libri di Marija Gimbutas che dopo risultarono del tutto campati per aria, almeno per quanto riguarda le sue affermazioni archeologiche. Allora ho pensato: ma forse bisogna andare alle fonti  e studiare preistoria davvero. Così mi sono laureato in Scienze dell’Antichità a Firenze, tra l’altro con una professoressa che a modo suo era matriarcale anche lei: Alda Vigliardi.. Negli anni dopo la laurea ho lavorato come archeologo preistoricista, spesso con delle grandi donne, come Fulvia Lo Schiavo e Angela Antona. Così ho scoperto, anche grazie allo studio del Vicino Oriente Antico come ad esempio Ebla che, nei periodi in cui la componente femminile governava veramente assieme a quella maschile, le forme di organizzazione della collettività potevano essere assolutamente diverse e sviluppare delle società che ancora oggi ci sembrerebbero molto moderne.

 –             Sei maestro di yoga e di meditazione tibetana: raccontaci come lo sei diventato.

–             Prima di tutto grazie ai miei maestri (e alle mie maestre). Poi sulla base di tanta tanta pratica. Le discipline di corpo e mente sono pura pratica, non sono esercizi teorici o intellettuali, si deve sentire il corpo, conoscerlo, ascoltarlo ed interagire con esso per fare yoga e ancora più per insegnarlo. Per la meditazione vale lo stesso, solo che in quel caso dobbiamo conoscere la nostra mente ma la nostra mente è abituata a guardare il mondo, a giudicarlo e classificarlo. In meditazione, invece, è la mente ad essere guardata e normalmente si inventa tanti trucchi per non fare vedere nemmeno a noi stessi qual’è la nostra vera natura e come siamo fatti in realtà. Sempre posto che esista qualcosa che si possa chiamare realtà… Il mio maestro di meditazione vive a Vancouver ed è molto anziano. È uno dei Lama più importanti del buddismo tibetano e sono contento di aver avuto l’occasione di imparare da lui. Quando lascerà il suo corpo ci vorranno molti anni tra rinascita ed educazione prima che possa riprendere ad insegnare…

–             Sei stato per tre anni presidente di Arcigay Toscana e comunque sei molto attivo e noto nel mondo LGBT: parlaci di questa tua esperienza

–             Portare avanti il proprio impegno sociale e politico in Italia in questo periodo è molto difficile. Essere presidente regionale di Arcigay era una cosa che potevo fare, ero utile a svolgere quel ruolo e l’ho svolto volentieri e spero con serietà ma l’ho fatto solo per un mandato. A parte che non sono attaccato a poltrone ed incarichi, credo che l’associazionismo lgbt così com’è stato negli ultimi 25 anni ha sopravvissuto se stesso ed è diventato obsoleto. Dobbiamo cambiare. L’importanza di un’organizzazione lgbt deve basarsi di più sui servizi che offre, sulle risposte che riesce a dare alla comunità e non solo su battaglie politiche, spesso generiche e portate avanti in concorrenza o conflitto con i partiti. Alla fine nessuno svolge il compito che dovrebbe svolgere, i partiti rincorrono l’elettorato invece di essere propositivi e le associazioni rincorrono i partiti per ottenere fondi invece di dare quei servizi di cui hanno bisogno le loro comunità di riferimento e che possono – perché no? – anche essere a pagamento. Secondo me va ripensato il tutto: le persone più “anziane” non ce la fanno più a portare avanti il volontariato da soli perché cominciano a sentire gli anni e una certa crisi motivazionale, i giovani, invece, con la loro situazione di precarietà non si possono proprio permettere di lavorare gratis, perché hanno bisogno di arrivare a fine mese. Credo che molti sentono questa realtà, anche nel mondo lgbt, e per questo oggi come oggi l’associazionismo ingrana solo se organizza feste e divertimenti a basso costo; attività culturali più impegnative di solito fanno buca e all’interno delle associazioni si riscontrano delle divisioni e dei litigi che sono arrivati a dei livelli di rabbia e di livore tali da far scappare inorridita ogni persona normale. Certo, la natura bigotta della nostra società e la smania dei partiti di essere tutti e comunque di “centro” rincorrendo la chiesa cattolica anche laddove sbaglia, non ha aiutato l’Italia a sviluppare una cultura aperta e stimolante, quindi c’è ancora tanto da fare ma va cambiato il modo…

–             Hai già pubblicato due libri che trattano due argomenti totalmente diversi. Il primo “La libellula” narra le avventure di una coppia di giovani ragazzi omosessuali durante il ventennio fascista in giro per l’Italia.

http://lalibellula.wordpress.com/

“Ichnusa”, il nome fenicio della Sardegna, è una sorta di giallo archeologico che si volge nell’isola e che tratta molte tematiche diverse tra cui quella della sessualità dei disabili.

http://ichnusailromanzo.wordpress.com/

Il terzo, che sta per essere pubblicato e di cui sono stata la correttrice ed editor, come per “Ichnusa”, insieme a un altro tuo amico, è ambientato nel 1300, è incentrato sulla figura di Meister Eckart. Quando hai scoperto questa tua vena di scrittore e come? Quando trovi il tempo di scrivere?

–             Ho cominciato a scrivere a 16 anni per un amore infelice… ma poi la scrittura è rimasta una mia passione anche quando ero fidanzato o avevo amori folli. Però è effettivamente difficile trovare il tempo di scrivere quando sei felicemente innamorato, perché in quel caso ci sono tante altre cose da fare… forse per quello avevo un po’ smesso di scrivere per qualche anno e ho ripreso a 40 anni suonati, così almeno non mi sono fatto scappare nulla! I temi dei miei libri sono molto diversi tra di loro, almeno in apparenza, perché sono convinto che anche il mondo, almeno in apparenza, è molto vario e pieno di differenze. Ma poi tutte quelle realtà hanno la stessa dignità e spesso seguono gli stessi meccanismo, vivono gli stessi dolori e le stesse gioie. Don Oreste, l’io narrante di Ichnusa, cerca il suo modo di vivere Dio senza dover sottostare a certi dettami della chiesa, Meister Eckhart fu processato per eresia proprio perché cercava e predicava quel Dio personale. Alla fine la questione è sempre quella di riuscire a vivere quel che veramente siamo, di liberare la nostra vera natura in armonia con il resto dell’universo e realizzarci al meglio delle nostre capacità. Trovare il tempo per scrivere in realtà non è difficile. La verità è che tutti noi abbiamo a disposizione esattamente lo stesso tempo: dal momento della nostra nascita al momento della nostra morte. Cosa andiamo a fare tra questi due momenti dipende da noi, è una questione delle priorità che ci poniamo. Anche se molti di noi forse non hanno capito che abbiamo la possibilità e il diritto di scegliere la vita che vogliamo vivere, dobbiamo solo fare i conti con le circostanze. E chiunque cerchi di dirci cosa dobbiamo fare della nostra vita farebbe meglio di farsi gli affari suoi…