Una patatina nello zucchero al Glue di Firenze, recensione di Daniela Domenici

Quasi un anno di vita, alquanto denso, come critico nel mondo teatrale fiorentino e continuo a ricevere sempre nuove sorprese, a scoprire nuove locations lontane anni luce dal mondo paludato ed elegante dei teatri dai nomi altisonanti eppure altrettanto ricche di spunti che regalano emozioni di Teatro con la T maiuscola, quel “sottobosco”, come l’ha definito un amico regista, che è più ricco di humus, di fermenti vitali, di curiosità sempre nuove.

Ieri sera sono stata accolta con calore e simpatia al Glue Alternative Concept Space  in viale Manfredo Fanti (unico neo che non posso tralasciare per chi lo gestisce: una targa, un’insegna che lo segnali per chi, come la sottoscritta, viene da voi per la prima volta), una realtà culturale che si merita maggiore risonanza per le attività che, nel suo piccolo, svolge: teatro, musica e tanto altro ancora con tanto entusiasmo e voglia di fare.

A dare il via alla stagione teatrale un testo dell’inglese Alan Bennett “Una patatina nello zucchero” scelto da Aldo Innocenti, attore teatrale fiorentino già da me applaudito e recensito nella scorsa stagione, che lo ha interpretato e diretto con una classe attoriale superba e un’intensità di emozioni davvero encomiabili che hanno commosso, e in alcuni momenti anche fatto sorridere, il pubblico presente, un monologo tragicomico dalle sfumature delicate in cui momenti esilaranti si alternano ad attimi di pura tenerezza.

Il protagonista è Graham, un uomo di mezza età scapolo e disadattato che vive ancora con la madre ottantenne che lo considera il suo fidanzato, che non ha mai avuto una donna e il sesso lo fa solo sulle riviste con qualche maschio da copertina. Graham racconta la sua storia con ironia e sensibilità dando vita e voce ai vari personaggi del suo racconto attraverso se stesso riuscendo così a focalizzare l’attenzione sul tema della solitudine come compagna di vita e della diversità di orientamento sessuale.

Perfetta anche la gestualità che Aldo Innocenti ha “regalato” a Graham oltre che l’abbigliamento ad hoc, quella ripetitività ossessiva di alcuni gesti che danno la perfetta misura della sofferenza mai palesata e del disagio esistenziale del protagonista: bravissimo Aldo.