“Le parole per dirsi” di Silvana Sonno, edizioni Era Nuova, recensione di Daniela Domenici

 le parole per dirsi

Un altro saggio denso di così innumerevoli spunti da non sapere da dove iniziare e quali porre alla vostra attenzione, scritto da una donna, Silvana Sonno, docente e scrittrice perugina, con il contributo di altre due, Paola Falteri e Paola Palazzoli.

Per una volta mi perdonerete se la mia recensione avrà una lunghezza maggiore del previsto ma, come ho anticipato, vorrei cercare di condividere con voi il maggior numero di suggerimenti possibili.

Inizio con alcuni concetti tratti dalla prefazione di Falteri: “…con la lingua mettiamo in forma il mondo, lo rappresentiamo, lo classifichiamo, costruiamo la visione che ce ne siamo formati/e trasmettendola attraverso lo scambio comunicativo…la lingua quindi contiene in sé la capacità di nominare (nel senso di distinguere, classificare) e riconoscere ma può anche – unico tra i sistemi comunicativi – riflettere su se stessa e su tutto ciò di cui parla. E’ per questo che, sottolineandone la potenza, si dice che è un codice universale…

E l’autrice Silvana Sonno, nella sua introduzione, rimarca ulteriormente: “le Istituzioni comunitarie raccomandano agli Stati nazionali l’importanza di adeguare i comportamenti linguistici per favorire il corretto sviluppo dell’identità di genere che ha come fine il riconoscimento della piena dignità, parità e importanza del genere femminile nel rispetto del dettato costituzionale che riconosce a ogni individuo – senza distinzioni – pari posizione…” e conclude: “…bisogna mettere a disposizione (delle donne) le parole per dirsi”.

E per far questo Sonno si è avvalsa del contributo di autrici del passato, spesso citate, come Alma Sabatini che già nel 1987 ha scritto “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, Patrizia Violi e il suo “L’infinito singolare. Considerazioni sulle differenze sessuali nel linguaggio” del 1986 e Marina Yaguello che nel 1979 ha scritto “Les mots et les femmes” tradotto poi in italiano l’anno seguente.

Ma la parte forse più nuova, interessante e utile per tutti noi docenti è quella del capitolo 3 intitolato “Che fare?” e poi, più ampiamente, nel capitolo finale “Note e materiali” in cui Sonno ci dà dei suggerimenti pratici su cosa possiamo fare per aiutare i/le nostri discenti a imparare a leggere con discernimento tutti i messaggi che arrivano loro dai mezzi di comunicazione per evidenziare l’uso sessista che viene fatto della nostra lingua perché, come ha enunciato il Consiglio d’Europa nel 1998, “…genere è la definizione socialmente costruita di donne e uomini. E’ l’immagine sociale della diversità di sesso biologica determinata dalla concezione dei compiti, delle funzioni e dei ruoli attribuiti a donne e uomini nella società e nella sfera pubblica e privata. R’ una definizione di femminilità e mascolinità culturalmente specifica che come tale varia nello spazio e nel tempo…”: il genere quindi è “un dato sociale piuttosto che biologico che viene conseguito attraverso la pratica discorsiva…”

Il capitolo 5 “L’altra metà della lingua” è un excursus che, da docente di lingue quale sono, mi ha particolarmente affascinato perché l’autrice si è addentrata in lingue molto lontane dal nostro vissuto quotidiano quale il cinese, per esempio, di cui esamina il Nu-Shu o lingua delle donne sviluppatosi durante il 17° secolo, o la lingua dei Lakota Sioux o la prima poetessa conosciuta a livello mondiale, Enheduanna che sceglie di scrivere in sumero, nonostante la sua lingua fosse l’accadico, “attribuendo alla scelta delle parole con cui dire e dirsi la via maestra della propria autodeterminazione come donna…”.

Un arricchimento ulteriore ci viene dal contributo finale di Paola Palazzoli che dedica la sua attenzione al fatto che “la lingua italiana disconosce, rinunciando a comunicarne la profondità e varietà, la realtà femminile con disabilità, tratto comune, d’altronde, al resto dei sistemi linguistici nel mondo…”. Concludo con queste sue parole, pesanti come macigni, che dovrebbero risuonare sempre in ognuna/o di noi: “la donna con disabilità incarna in sé tutti i luoghi comuni che giustificano la sua emarginazione dal potere, dal lavoro…e il suo sfruttamento fisico, intellettivo, emotivo. PARLARE DELLE DONNE CON DISABILITA’ SIGNIFICA PROCEDERE PER ESCLUSIONE…”.

Ringrazio Silvana Sonno per avermi donato questo suo saggio che spero venga letto, studiato e adottato nelle scuole superiori e nelle università.